Opere di G. Viola
1968
1968
1970
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1985
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2014
Giuseppe Viola è artista di spicco nella generazione nata negli anni ’30, quella chiamata a reinventare il linguaggio delle arti italiane sulle ceneri del monumentalismo novecentista, e aprendo finalmente i confini della nostra cultura artistica alle vere novità dell’epoca: il picassismo, l’esistenzialismo, l’arte americana. Temperamento ricettivo e brillante, dotato di istinto e di talento formidabili, Viola raccoglie fin da giovanissimo quest’impegnativa eredità, precisando le proprie ragioni poetiche che sono ragioni di un incessante colloquio, lirico ed idilliaco, con la realtà pittorica della figura, del paesaggio, della natura morta. E lo fa intrecciando indissolubilmente due filoni, due “cifre” formali che gli resteranno peculiarissime. La prima è quella di un pittoricismo di prima intenzione, colorista, crepitante e febbrile, saturo di pennellate gestuali, erede diretto del grande disegno italiano e del realismo di Corrente, in special modo nel versante meridionalista di Cantatore, Migneco, Guttuso, e della Scuola Romana, di cui Viola è oggi l’unico degno epigono. La seconda “cifra” è quella imagista, contrassegnata dai medesimi soggetti da cavalletto ma altresì da un tagliente geometrismo compositivo, da un’immagine sempre dinamica, nonché da campiture nette di cromatismi saturi, quasi smaltati. È nel 1969 che, grazie all’incontro con Dino Buzzati (il quale gli dedicherà un apposito racconto) che Viola trasfonde nella pittura – con un coraggioso atto culturale – i princìpi dell’lmagismo letterario già teorizzati nel 1912 da Ezra Pound: sintesi visiva; simbolismo sociale delle linee rette e dei tratti essenziali; forte impatto cromatico; messaggio asciutto e conciso. Oggi, nello scenario dell’arte contemporanea, l’opera di Viola si pone come un unicum per qualità e ragioni poetiche, riproponendoci quegli eterni valori della pittura che nella raccolta di opere di questo sito web possiamo chiaramente incontrare. Domenico Montalto
Artista Giuseppe Viola, un artista a tutto tondo. Eclettico e creativo
Dopo la pausa estiva, riprendiamo questa rubrica ricordando il pittore Giuseppe Viola, scomparso lo scorso 23 agosto. Un personaggio geniale ed eclettico del mondo artistico milanese e italiano. Un uomo di rara sensibilità, che si faceva notare per cultura, umiltà, altruismo, coerenza e dolcissima travolgente carica di umanità. Fu amico di Dino Buzzati, il quale gli dedicò un poetico e surreale racconto intitolato «Dipinse un giorno un cavallino». Nato a Milano il primo gennaio 1933 da genitori palermitani, Giuseppe Viola all'inizio studiò pianoforte dagli 8 ai 14 anni, sulle orme del nonno Luigi, un celebre tenore che cantò anche alla Scala. Contemporaneamente, però, Giuseppe disegnava e cominciava a dipingere. Nel '56 aprì il suo primo studio d'arte in via Stadera e conobbe Carlo Carrà. Sbocciò nel '59 l'amore che doveva durare una vita intera: Gabriella Emanuela Gandola faceva la commessa e lui le fece una corte più che assidua. Finché una sera piovosa l'aspettò fuori del negozio in Topolino, invitandola a salire in auto per accompagnarla a casa. Una scusa che si trasformò in un colpo di fulmine. Si sposarono nel 1961. Nacquero i figli Fabio (laurea in lingue, designer di orologi da polso) e Paola (dirigente d'azienda), che assieme ora si occupano di tenere viva l'immagine pubblica dell'opera paterna. E poi i nipotini Alice, Federico, Gabriele, Beatrice. Intensa l'attività artistica di Giuseppe: tutti i giorni disegnava e dipingeva. Fu pure ceramista e scultore. Solo così poteva concepire di esistere. Più di duecento esposizioni in Italia e all'estero. Tra i riconoscimenti gli venne assegnato nel '77 l'Ambrogino d'oro dal Comune. Da un punto di vista critico Dino Buzzati individuò la componente esoterica ed alchemica della sua pittura, che nasceva come d'impulso. Giuseppe raccolse fin da giovane l'eredità di picassismo, arte americana ed esistenzialismo in un incessante colloquio con paesaggio, orizzonte, natura morta, presenza del corpo umano. Erede del realismo di «Corrente», vicino a Cantatore, Migneco e Guttuso, ma soprattutto ultimo depositario dell'«Imagismo pittorico», trasposizione nell'arte figurativa dell'esperienza poetica di Ezra Pound, Viola costruì forme e immagini sempre dinamiche, antinaturaliste, neocubiste, caratterizzate da simbolismo sociale, tratti essenziali, forte impatto cromatico, messaggio energico e conciso. Fino all'ultimo ha lavorato: stava per concludere un dipinto per una nuova città imagista. Franco Manzoni
Il pittore Viola dipinse un giorno un cavallino che attraversava un prato da sinistra a destra sotto un cielo azzurro con striature di nuvole bianche.
Non lo aveva ancora finito che lo mise da parte perché gli sembrava poco "suo". E si mise a dipingere un angolo dello studio,con la stufa,dei quadretti appesi,una cornice vuota,una scopa e a destra l'angolo di un divano rosso. Saranno passati quindici giorni ed al pittore,cercando una certa tela,venne tra le mani il quadretto con il cavallino di cui si era completamente dimenticato.
"Mah,disse tra sé,avrei giurato che era una bella giornata e invece qui c'é un cielo tutto a nuvole. Possibile che il colore azzurro sia deperito così,nel giro di pochi giorni? E si che adopero una buona marca".
Non se ne preoccupò tuttavia più di tanto,già che c'era,però,si prese il gusto di rifinire meglio la sagoma del cavallino, il quale era un cavallo grigio,vale a dire bianco perché quelli che se ne intendono,i cavalli che a noi sembrano bianchi, chissà perchè,li chiamano grigi.
Ma non era che Viola fosse veramente persuaso da quel quadretto. Tanto che lo imbucò in un angolo dello studio,dove si ammucchiavano le tele messe in quarantena che lui poi o riprendeva in considerazione modificandole e completandole o,più sovente,distruggeva. Passarono circa tre mesi e una notte ci fu un grosso temporale.Scesero dal cielo delle tali cateratte d'acqua che al mattino lo studio era mezzo allagato. Una vera pozza si era formata nell'angolo delle tele in attesa di giudizio, per le quali il pittore non andava matto ma non c'era nessun motivo di lasciarle andare a remengo.
Si trattò quindi di levarle di là per poter toglire l'acqua e fare un po' di pulizia.Lavoro che eseguì egli stesso,conciandosi da sbatter via come è facile immaginare.
Proprio tra gli ultimi quadri da spostare c'era quello del cavallino. Ci diede appena un'occhiata furtiva. E rimase trasecolato. Il quadrupede adesso era fermo in mezzo al prato,la testa china su un piccolo coso dai contorni alquanto confusi ma che con un po' di buona volontà si poteva riconoscere per un puledrino appena nato. Segno dunque che il Viola aveva preso un granchio madornale credendo di dipingere un cavallo perché in realtà si trattava di una cavalla.
Viola non é persona eccessivamente impressionabile. Tuttavia ritenne opportuno chiudere a chiave il quadro in un cassetto e soprattutto non parlarne con nessuno perché lo avrebbero come minimo preso per matto.
Certo,da allora di notte in quello studio,non ci stava volentieri. I palazzi della città che egli aveva dipinto qualche giorno prima magari prendevano fuoco o crollavano. O le modelle che aveva raffigurato sulle tele si sarebbero decise a mettere ordine nello studio perché questa é la infernale mania delle donne e lui al mattino si sarebbe sentito completamente infelice.
Facendo molta forza su se stesso lasciò passare una settimana senza aprire il cassetto. Poi andò a vedere. Ormai era abituato all'idea e una vera e propria paura non la prese. L'impressione però fu ancora più forte.
Il cavallino neonato si era definito perfettamente nella sua sagoma gentile,e superato il periodo d'allattamento,stava brucando l'erba accanto alla madre incurante della pioggia che scendeva copiosamente dal cielo. "Ma,dico-pensò-qui dove andiamo a finire?". E ripose nuovamente il quadro nel cassetto.
Casi del genere intendiamoci non sono molto rari. Certo bisogna che il quadro,o il disegno,siano azzeccati,che l'artista,anche senza rendersene conto come nel nostro caso,ci abbia messo dentro una buona carica di vita. Poi il quadro procede da sé. Le successive metamorfosi? Cessò la pioggia,madre e figlio ben pasciuti,fecero una galoppatina mentre il cielo lentamente si apriva. L'erba e le stroppie della prateria crebbero a mezza gamba. E fin qui,in un certo senso,tutto sembrava normale. Senonché negli ultimi giorni sta accadendo nel quadro qualcosa di cui Viola é alquanto preoccupato. Non già perché,avvicinandosi il tramonto,il cielo si è fatto di un rosso intenso,non già perchè questa luce rossa,spandendosi sulla terra,fa diventare rossi i prati e i cavalli (soltanto gli occhi restano neri).
Ma perché le due bestiole ( il figliolo nel frattempo é cresciuto,quasi a gareggiare in statura con la mamma) sono state prese da una misteriosa eccitazione e,come impazziti spiccano dei salti incredibili benchè non si scorga nulla di minaccioso intorno. Si dice che gli animali,specialmente di nobile sangue,abbiano un'enigmatica sensibilità per cui presentono il futuro. Si racconta di cani che,con l'anticipo di due o tre giorni,"sentivano" il ritorno del padrone che mancava da un paio d'anni. Ed io stesso ho avuto dei cani che impazzivano tre o quattro minuti prima che ci fosse un terremoto. Cosicché il pittore si domanda: Perchè i due cavallucci sono stati presi da tante scalmane? Sarà il ritorno di un padrone,cioè sarà un avvenimento felice? O sarà qualcosa di spiacevole,non so,la rivoluzione francese o un vecchio conto da pagare?
Questo si verifica da sei giorni. Durante i quali l'atteggiamento nevrotico dei destrieri,non è apprezzabilmente mutato. Cosicché, dopo ogni osservazione,Viola li chiude nel cassetto a doppio giro di chiave. E più che mai si guarda dal parlarne con amici,altrimenti crederebbero che abbia davvero perso i venerdì. Dino Buzzati
L' avventura artistica di Giuseppe Viola è stato un percorso nel colore, e lo scavo si è attivato più che dall’estro, dal senso suo della terra che desidera e ha desiderato descrivere. Scriveva Courbet nel 1879: “Il dono di vedere un effetto sul vero è di sapere trovare nella tavolozza le tinte per renderlo”. E ancora Carrà nel 1947 : “il dipingere può considerarsi un impulso primordiale al quale l’uomo ubbidisce per chiarire il suo rapporto spirituale con le cose che lo circondano. Questo equivale ad affermare che qualunque sia stato il mondo culturale e storico che ha generato l’opera d’arte è il valore spirituale che costituisce il punto essenziale in cui l’atto creativo prende significato”.
Il mondo rappresentato da Viola è uno spettacolo unico. Paesaggi e scene di vita riemergono da un’atmosfera composita ed espressionistica, impreziosita dalle innumerevoli possibilità del segno spezzato e, nello stesso tempo, effusivo e luminoso. La profondità del vissuto, di ciò che l’artista ha elaborato specularmente prima che artisticamente, conferisce al suo mondo, da sempre, il significato della misura ancora pronta a splendere di nuova consapevolezza tematica. C’è inoltre, una stretta connessione nel suo mondo di naturalità gestuale e una fisionomia di esperienze e di segni che possiedono la volontà di collocare la figura in una specie di destino surreale, svelato dalla fitta rete di formulazioni, di impressioni fisiche, sostanzialmente emblematiche. I riferimenti storici di epoche, di un’ epoca, di tutta questa evidenza di impostazione culturale e figuralistica, nella loro sintesi iconologica, si fecondano in un’analisi drammatica, e in elementi di novità che sono l’ordito, la struttura, l’allusione; novità particolarmente efficaci, violenti, affabulatori, nella cui sintassi si legge un evento una moda borghese, un ritratto psicologico e fisico degli esseri, una finestra di civiltà. Quel passaggio dalla “ giovane pittura” sua degli anni Sessanta ad oggi, pure attraversato dal progetto della nuova figurazione, per spingersi, com’è avvenuto, in quell’ imaginismo memoriale, ha trovato l’incrocio di un fuoco creativo che desublimato la realtà, uscendo dalla fiaba di post-impressionismi, e rifondare assiduamente espressionismo e realismo.
L’immaginario di Giuseppe Viola si è imposto immediatamente, al di là del valore scientifico, per la sua qualità veritiera di rappresentazione della realtà, inseguendo come pochi altri artisti come Ensor, Nolde, Kokoschka, ecc. – un colore soggiace “ naturalmente “ alla luce, che muove la qualità spessa delle tinte e del valore cromatico. Tutto il percorso ha una logica, un suo muovere dell’anima, un suo crescere in un populismo letterario e pittorico. Modernità e verità nell’opera di Viola coesistono, e per ciò che attiene ai contenuti par quasi pittura di storia, ma di storia privata, senza tuttavia tralasciare l’assedio delle ricerche di luce e soprattutto di colore che tormenta ogni dipinto dall’interno e lo racchiude in un ribollire di toni, in una documentazione figurale nervosa che da origine a una sorta di vitalissima luce-energia. Suggestione e qualità, esistenza e vitalità, allargano lo spettacolo di questa pittura, oltre misura, ma ormai la cronaca è scritta e la lezione di Viola è una straordinaria e irripetibile interpretazione.
Tutta la pittura di Giuseppe Viola va definita un’ arte eticamente motivata e drammaticamente comunicativa, fin dalla fine degli anni Cinquanta; ne emerge infatti una personalità di cultura assai complessa, che affronta la realtà mettendo continuamente in discussione le presunte verità di una conoscenza che si affidi a soluzione assolute e schematiche, siano esse di natura razionale o irrazionale. Negli anni Sessanta procede a vitalizzare un nuovo processo costruttivo di spazi colorati, fermando una posizione di simbolo, le estreme e lancinanti proprietà di colore; nasce proprio agli inizi degli anni Settanta quella poetica “ imagista” elaborata da Viola sul piano teorico e trasferita nella contemporanea produzione. Paesaggi e figure che sono il motivo dominante delle intercettazioni tematiche, legate alla quotidianità, al suo vivere, assorbono il continuo modificarsi della realtà naturale con strabilianti apparizioni. Il suo punto di partenza è uno scavo della memoria individuale e storica, l’arte può sopravvivere, pur in presenza di contraddizioni, se diventa operazione della memoria, ricordo di una natura e di un ‘umanità originarie, non ancora contaminate dalla realtà. La panteistica vitalità della natura, cui non si distaccherà mai in tutta la sua pittura, fin dagli anni del neorealismo, fino ai rimandi romantici che svolgeranno lucidi rapporti con le radici dell’arte contemporanea, va oltre il formalismo, per definirsi impressionistica istantaneità. Le forme avvolte in una luce che sottolinea la libera espansione nello spazio, si concretizzano in un’immagine appassionata di dinamismo e armonia, in una risentita partecipazione alla vita, se si vuole “ espressionistica. Il colore e la materia sono stati per Viola la nota forte e significativa che hanno dato risalto ai temi prescelti, divenuti quasi “occasione”, motivo, in cui i ritmi compositivi si spezzano e dinamizzano con una modellazione sensitiva e guizzante. La sua potrebbe dirsi una pittura corale, in cui tutti i riferimenti figurativi, le modelle – tanto decantate da Dino Buzzati – le nature morte, i paesaggi cittadini, marini e montani, i ritratti sono sfoderati in un sontuoso colorismo, come una pelle mediterranea che tutto avvolge e stringe e fa vivere. La sua è ormai una tranche de vies sospesa tra un lirismo cronachistico e una evocazione fantastico-memoriale di tono fauve; i suoi lavori caricati di materia-colore, irruente e fisica, che voracemente fa presa sul reale, traducono in termini maturi l’esigenza di un più serrato rapporto tra la soggettività dell’artista e le urgenti sollecitazioni della realtà. Viola ancora oggi dopo uno splendido e spettacolare percorso artistico, costruito nella seconda metà del Novecento, si concentra sul processo del dipingere ormai intriso di automatismo istintuale, e al mito eroico di questa pittura risponde con un lirismo che è sincero e universale.
Carlo Franza